I bisogni nuovi dei nostri giovani

Il domani sarà come sono i nostri giovani oggi. Per noi è importante capire le linee di tendenza secondo le quali si muovono i nostri giovani. Ci sono nei giovani di oggi i bisogni positivi eterni che si manifestano in modi diversi dai tempi passati. Ci sono bisogni nuovi, ai quali i giovani non riescono facilmente a trovare risposta.

Ho chiesto ad un giovane ex tossicodipendente, terminato il periodo di recupero in comunità, perché fosse caduto nella droga. «Una vita senza senso» mi ha risposto. La domanda di senso nella vita che motivi l’impegno, lo studio, il lavoro, c’è sempre stata. Essa giace all’interno del cuore dell’uomo. Ma oggi l’assenza di risposta causa una sofferenza lancinante. «Senza motivi validi – mi ha detto un giovane – non si muove neanche un dito».

Ai figli che chiedono motivi di vita danno degli oggetti. Di fronte agli alunni che chiedono motivi per studiare, gli insegnanti rimangono senza risposta.

Mentre in precedenti epoche storiche, quando le masse contadine e proletarie giungevano all’orizzonte della vita sociale, i motivi del successo, del posto di lavoro erano una molla potentissima per impegnarsi alla conquista di una posizione sociale più elevata e riscattarsi da una condizione tradizionale di soggezione non solo economica, oggi, invece, alla stragrande maggioranza dei giovani quei motivi non dicono più nulla. Quei motivi erano effimeri, oggi infatti non sono più importanti. Ciò vuole dire che siamo in una fase storica più vera che va oltre il mondo, la realtà presente; che pone l’esigenza di motivi globali e permanenti, che stanno più dentro la libertà del cuore dell’uomo. E i giovani sono i primi ad avvertirla.

Ad un altro giovane, anche lui liberatosi dalla droga, ho chiesto perché fosse fuggito dalla vita per rifugiarsi nella sostanza stupefacente. «Ricorrevo alla droga perché apparentemente era l’unica cosa che mi faceva stare bene. L’essere nel mondo della droga mi faceva sentire importante, temuto. Con i soldi, molti, che mi procuravo spacciando, mi sentivo potente, considerato, ammirato. L’ambiente droga ti affascina, ti fa apparire un duro e quasi ti fa credere di esserlo. Metti da parte tutte le paure: anche l’andare in galera non mi dispiaceva, vi avrei incontrato persone che conoscevo. La droga mi faceva sentire di essere un mito. In realtà ero una m*».

I giovani sentono, non solo oggi ma da sempre, il bisogno profondo di essere protagonisti della storia, senza essere ammalati di protagonismo. Ma la storia di oggi a chi è in mano? È in mano agli adulti e agli anziani. I giovani di oggi si ribellano. Mentre condanniamo giustamente gli atti inconsulti degli squatters dovremmo capire il senso del loro modo di vivere, l’animo lacerato dei giovani. Spaccare tutto in fondo è espressione di un bisogno positivo: ricostruire tutto.

Ad un altro giovane ancora, che aveva finito il programma, ho chiesto in che modo l’avesse aiutato la vita di comunità. «Mi ha portato ad accettare me stesso», ha risposto. «Mentre prima mi paragonavo agli altri e ne uscivo sempre sconfitto, sempre meno di tutti, nella comunità ho capito che sono una parola irripetibile, unica di Dio, pronunciata per il presente della storia. Ed ora gioisco di essere me stesso. Prima per poter essere in mezzo agli altri dovevo essere bevuto, drogato o cotto come una scimmia; adesso sono felice di essere me stesso in relazione con gli altri. Prima per esistere dovevo fingere e sentirmi un complice, oggi vivo positivamente il rapporto con me stesso e con gli altri».

Al Convegno di venerdì scorso tenutosi a Rimini sul tema “Rapporto tra bambini ed istituzioni”, giustamente si diceva che non si devono asservire i bambini ai progetti degli adulti, che si deve spostare l’attenzione alla loro soggettività, in un atteggiamento educativo personalizzante.

Ma d’altra parte è necessario essere profondamente esigenti nel volere che i bambini sviluppino quel codice di vita morale messo da Dio nel loro cuore, perché poi essi siano, e non fingano di essere, giovani e adulti responsabili.


Tratto da un articolo del “Corriere Romagna”
Rubrica “Per chi suona la campana” – Domenica 19/07/1998