Carità senza il vangelo?

Dobbiamo dare ai poveri, agli ultimi, le risposte ai bisogni che essi oggettivamente hanno, che ci gridano dalla loro situazione reale. Non possiamo «fare qualcosa» per zittire la nostra coscienza. «Qualcosa» purché non ci scomodi, purché non esiga alcun nostro cambiamento, tantomeno qualche rischio. Fare «qualcosa» che non turbi le nostre alleanze, che non dia fastidio ai potenti da qualsiasi parte si trovino.

In questa ottica si è sviluppata l’assistenza e la Caritas è stata ridotta alle opere di misericordia in senso riduttivo. Il bambino senza famiglia idonea anche temporaneamente, vuole un papà e una mamma che gli diano l’affetto di cui ha bisogno; ma ha anche bisogno che i genitori che l’hanno accolto facciano il possibile per riportarlo ai genitori naturali, resi idonei a essere papà e mamma.

Invece di «costringere» le famiglie cattoliche ad aprirsi ai figli di nessuno per accoglierli e rigenerarli nell’amore, sono cresciuti gli istituti, le comunità tipo-famiglia che di famiglia hanno solo il nome. Così non ci si è accorti che lasciare un bimbo senza un papà e una mamma, o almeno uno dei due, è un’ingiustizia; se handicappato o sieropositivo, una crudeltà. Nella stessa ottica sono sorti i manicomi, i ricoveri per i vecchi, le mense «per i poveri», i dormitori pubblici, le case per le ragazze madri. Invece di accogliere nelle nostre famiglie chi soffriva, l’abbiamo relegato in strutture emarginate ed emarginanti. Invece di difenderli, ci siamo difesi da loro «eliminandoli» dalla nostra vita.

Invece di farli essere soggetti attivi di storia, li abbiamo resi «oggetto di assistenza». Questa carità non ha avvicinato a Cristo. Era una carità sul piano del dare anziché dell’essere e del condividere. Questa carità ha fatto sempre piacere al sistema. Invece di metterlo in crisi, lo rinvigorisce, perché gli salva la faccia, perché c’è chi si fa carico delle sue vittime.

Sono sorti molti santi della carità che commuovono, ma che non rivoluzionano la società. Al contrario, sono stati nascosti i martiri della giustizia perché mettono in crisi il sistema in cui ci siamo anche noi. Abbiamo coltivato la carità senza il vangelo della carità. La chiesa non deve limitarsi a parlare degli handicappati, ma scovare chi fa diventare handicappato.

La chiesa non deve solo portare la croce del fratello, ma deve scovare chi fabbrica le croci e imporre che si smetta di fabbricarle. La chiesa deve abbattere le fabbriche dei poveri e non limitarsi a soccorrere i poveri. Sant’Agostino afferma che «non dobbiamo coltivare i poveri per fare opera di misericordia. Abbatti la miseria e non ci sarà più bisogno di opere di misericordia».

Ecco alcune scelte di condivisione essenziali che potrebbero caratterizzare i prossimi anni delle comunità cristiane. Entro due anni tutti gli istituti chiuderanno (almeno quelli tenuti dai religiosi) perché quarantamila famiglie cattoliche avranno accolto i quarantamila minori istituzionalizzati. Entro sei anni via i manicomi perché le famiglie cattoliche avranno ospitato i sepolti vivi che li popolano. Entro otto anni basta ricoveri per i vecchi perché questi saranno entrati nelle nostre famiglie. Da oggi in poi si adotteranno le prostitute che vogliono cambiare vita. Entro breve tempo chiuderanno le mense dei poveri perché questi verranno a mensa da noi.

Aggiunta non pubblicata, ma presente nel testo inviato da don Oreste alla rivista:

«P.S. Queste provocazioni don Benzi le ha rivolte anche all’Assemblea del Convegno di Palermo, riscuotendo – come ci ha confessato – solo “sterili consensi”. Nel trattare “la scelta preferenziale dei poveri” non si è andati oltre l’ovvio. “Non si sono esaminate le cause per cui c’è la povertà, l’oppressione, l’emarginazione dei poveri”».


Tratto dal “Messaggero di Sant’Antonio” – Gennaio 1996