Ho conosciuto l’amatissimo don Oreste nel 1980 esattamente l’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione. Io non ero tanto immacolata, mi sentivo sporca e anche se a soli ventidue anni, unita, morta! I miei genitori mi avevano caricato in macchina di peso, io non camminavo nemmeno più, devastata dall’astinenza e dall’astenia, pesavo trentasette chili.
Cercavamo disperatamente di arrivare a San Patrignano, poiché il nostro medico di famiglia aveva saputo che lì un uomo raccoglieva ragazzi drogati.
Giravamo per Rimini senza sapere dove andare né a chi chiedere informazioni. Quelli, per la mia famiglia, erano giorni di vergogna, di disperazione, di sensi di colpa e di impotenza; per me solo voglia di morire.
Nel tentativo di chiedere qualche informazione, incontrammo una suora, che poi scoprimmo essere la direttrice dell’asilo parrocchiale della Grotta Rossa. Mio padre nel vedere quella suora si rincuorò, forse quel velo accese la speranza, ci disse che non conosceva San Patrignano, ma se volevamo seguirla ci avrebbe condotti da un sacerdote che aiutava chiunque. E da questo incontro affatto casuale incontrai per la prima volta il Don. Usciva dalla Messa che aveva appena celebrato, mi venne incontro con il suo meraviglioso sorriso e a braccia aperte. Mi ha chiamato «Saraghina» [pesce sottile, ndr] e mi ha guardato negli occhi.
lo ormai erano due anni che guardavo solo per terra e camminavo rasente ai muri nella folle speranza di farmi trasparente, avevo così schifo di me stessa, mi sentivo un cartoccio vuoto, il pensiero fisso di trovare il coraggio di farla finita.
Non mi ha mai parlato di droga, di devianza, di peccato, di pentimento, di redenzione, mai! Mi ha sempre e solo parlato d’amore, di fiducia e di speranza. E da grande profeta che era ed è, di me aveva capito già tutto. Ed ha aperto subito la porta come se fosse la cosa più normale del mondo, mi ha offerto tutto ciò che aveva: la speranza, la sua vita, ciò che aveva costruito con altri fratelli. Mi ha offerto la comunità intera, affinché trovassi ciò che invano avevo cercato: la risposta era lì, nelle case famiglia, nei giovani che lasciavano tutto: studi, famiglia, lavoro, per diventare padri e madri e fratelli di matti, storpi, drogati, assassini, zingari. ladri, barboni.
Questa è stata la vera terapia, il Don aveva capito subito che la mia salvezza sarebbe passata solo da lì; avrei potuto innamorarmi di me stessa solo imparando ad amare chi mi stava intorno.
Probabilmente sto per dire una bestemmia, la mia fede non è tenace come vorrei, anzi, fa acqua da tutte le parti, ma la certezza della santità del Don è cieca, mai giuro, ho dubitato neppure per un attimo di ciò. Il Don è riuscito a presentarmi Gesù e farmi fare amicizia con lui, anche se il cammino è ancora lunghissimo.
Il Don ha dato dignità a tutti coloro che ha incontrato, poiché l’uomo fatto a somiglianza di Dio era l’unica cosa che gli interessava nella vita: perché in ognuno incontrava Dio e tu lo sentivi che quando ti guardava eri unico; e appena posava lo sguardo su un altro fratello, anche lui era unico, perché tutti lo eravamo ai suoi occhi, senza nessuna distinzione tra deboli e potenti, solo che il debole lo avvolgeva di una tenerezza tutta particolare, capace di guarire anche il cuore più desolato.
Ogni anno, fino alla sua morte, l’8 dicembre io lo chiamavo per ricordargli l’anniversario del nostro primo incontro e lui, miracolosamente, mi rispondeva sempre e si ricordava. Continuo tuttora a chiamarlo, anche se risponde un messaggio di segreteria, dicendo che il numero è irraggiungibile, ma sono convinta che lui lo sa e sorride.
Potrei scrivere un libro su tutto ciò che ho vissuto con il Don, su tante avventure divertenti, sul tempo passato insieme fra viaggi, incontri, ecc. perché non c’è stato momento in cui non mi abbia insegnato qualcosa: li tengo tutti serbati dentro di me come una ricchezza inestimabile.
Pochi giorni dopo la sua morte, la mia figlia più piccola, Valentina, che all’epoca aveva sette anni, sognò don Oreste che, come Mary Poppins, volava in cielo con la sua tonaca, appeso ad un ombrello, sorridendo a tutti noi: questa immagine mi è tanto cara e spesso lo immagino così.
Spero solo che da lassù mi perdoni e continui ad amarmi.
Angela Guardabascio
Lettera alla Postulazione,
16 gennaio 2016
(tratto da Don Oreste Benzi fratello di tutti)