• Don Oreste Benzi nelle testimonianze di chi l’ha incontrato

In questa pagina pubblichiamo alcune fra le tante testimonianze di personalità del mondo civile e religioso, ma anche di persone semplici e piccole, che hanno incontrato don Oreste nella loro vita.

Se non indicato esplicitamente, i testi sono tratti da
CASADEI ELISABETTA (a cura di), Don Oreste Benzi fratello di tutti, Effatà, Cantalupa (TO) 2017

Elisabetta Casadei è la Postulatrice della Causa di Beatificazione di don Oreste Benzi

Mons. Francesco Lambiasi
Vescovo di Rimini

Entra in Diocesi il 15 settembre 2007, 47 giorni prima della «nascita al Cielo» di don Oreste. Già vescovo di Anagni-Alatri (1999-2001), Assistente generale dell’Azione Cattolica Italiana (2001-2007) e noto scrittore divulgativo.

Il primo impatto

Il primo incontro ravvicinato con don Oreste avvenne il 13 marzo 1999 ad Anagni. Lo avevamo invitato a un Convegno che si teneva nel Seminario regionale, di cui ero stato rettore.

Il «Don» arrivò puntualmente… in ritardo e non sapeva che qualche giorno prima ero stato nominato vescovo. Appena glielo dissero, si buttò in ginocchio davanti alla tantissima gente venuta a sentirlo, e mi chiese la benedizione.

La sensazione a pelle fu quella di un prete divorato dalla carità, un uomo eccezionale per la sua umanità calda, avvolgente, un cristiano straordinario per la sua fede limpida e rocciosa.

Cosa «invidio» a don Oreste

A don Oreste invidio l’amore per Gesù. Questo è stato l’architrave della sua vita. Un amore «folle» che lo rendeva tenacemente attaccato alla preghiera, alla Messa che celebrava anche quando rientrava molto tardi da un pellegrinaggio. Si vedeva che nel fondo più profondo del cuore gli scorreva come un fiume carsico – il dialogo con Gesù – che di tanto in tanto affiorava in superficie. Si sentiva che era un uomo «carico» di Dio.

Come ha cambiato il mio essere prete…

Ha esercitato su di me un influsso considerevole, perché mi ha reso più sensibile alla «spina» dei poveri e più attento nel coltivare la relazione con il Signore, una relazione preziosissima e fragilissima. Se dovessi indicarlo tra i miei modelli ideali di prete, sarebbe certamente tra i primi tre, perché era un prete-prete, totalmente consegnato in una «resa» incondizionata alla chiamata, senza programmi riservati, senza sogni e progetti personali.

…e il mio essere cristiano

Ho visto in don Oreste l’identificazione tra l’essere «cristiano» e l’essere «prete». Ciò che per lui era fondamentale era l’essere un discepolo innamorato del suo dolce Gesù e della sua Chiesa. Provava forte il senso del battesimo, che non sentiva come un fattore decorativo, marginale, ma come un elemento centrale, fondante e portante.

Tante volte dico ai nostri seminaristi e anche ai nostri preti: «Il difficile – e il bello! – non è tanto l’essere prete, ma l’essere cristiano». Anche per me questo titolo di «eccellenza» mi appare davvero extra-large. La vera eccellenza è quella comune a tutti, quella del battesimo. Non ce n’è un’altra particolare.

Mi ha reso più «padre»

Ho sempre visto in lui un prete appagato, stracontento. Un prete felice come avviene quando il sentimento di paternità e di fraternità è vero, forte.

La ricetta che dava contro la tristezza era sempre quella di pensare agli altri e ai loro problemi, cioè di «decentrarsi», di «farsi abitare» dagli altri. Detto sinceramente: ogni volta che mi viene da pensare a lui e mi specchio nella sua santità, mi vedo molto distante dal suo modello. Però, colgo la bellezza e il fascino del suo stile di vita. Vorrei che nessuno mi leggesse in faccia una preoccupazione, magari assillante, che scivoli nella tristezza. La sofferenza sì, la si comprende nel prete, come pure la tensione o la stanchezza. La tristezza no, mai.

Don Oreste era capace anche di arrabbiarsi quando vedeva le molte ingiustizie nei confronti dei poveri, ma lo faceva in modo evangelico, come Gesù. In me invece riscontro tutt’altro: la mia collera è lo sfogo del mio orgoglio colpito e l’effetto di qualche ferita che mi brucia dentro.

… e mi ha aiutato a sentirmi «figlio» della Chiesa riminese

Avrei desiderato essere figlio spirituale di un prete come don Oreste. Di fatto lui mi ha aiutato a sentirmi «figlio» e «fratello» di questa bella Chiesa riminese. Quando ha saputo della mia nomina a vescovo di Rimini, mi ha telefonato e le parole che mi ha detto, quasi un patto reciproco, sono state: «Venga! Non abbia paura! Io l’aiuterò». Parole che poi – appena quaranta giorni dopo – mi hanno causato un’amarezza violenta quando quella mattina presto del 2 novembre 2007 mi sono trovato di fronte alla sua salma. Ma subito ho avvertito una grande pace che mi veniva da una sicurezza invincibile: che lui era e continua ad essere in grado di mantenere la promessa. In tanti passaggi della vita mi viene non solo da pensarlo vicino, ma da parlargli e dirgli: «Don Oreste, adesso mi devi aiutare, ma voglio vedere come te la cavi».

Dal Colloquio con la Postulazione,
30 settembre 2016
(tratto da Don Oreste Benzi fratello di tutti)

Mons. Santo Marcianò

Ordinario militare per l’Italia (2013) e già vescovo di Rossano-Cariati (2006-2013)

Un giovane che parlava ai giovani! È la prima immagine che ho di don Oreste Benzi e penso sia un’immagine che lo dipinge abbastanza fedelmente. L’ho infatti conosciuto quando, da rettore del Seminario e direttore dell’Ufficio diocesano vocazioni, l’avevo invitato a Reggio Calabria per una giornata diocesana dei giovani, per offrire loro, assieme alle riflessioni e alla festa, la testimonianza forte di una vita dedicata all’evangelizzazione e al servizio degli ultimi, dei poveri, dei piccoli.

Fu una testimonianza luminosa e illuminante, centrata particolarmente sul suo lavoro di recupero delle donne in strada, la cui sorte inquietava la vita, i giorni e le notti di don Oreste.

«Dormiresti tranquillo se fosse tua sorella?». Il suo grido dal palcoscenico, dinanzi a una piazza gremita di adolescenti e giovani, aveva squarciato il buio di quella sera e le luci di quella festa. Soprattutto, aveva scosso il cuore dei ragazzi – e non solo -, offrendo un lampo di quella che si è sempre più confermata la cifra della santità di don Benzi: credere con forza che, con l’aiuto di Dio, non esiste nulla di irrecuperabile, di impossibile, di troppo rischioso. E che, se qualche rischio ci fosse – e di rischi penso lui ne abbia corsi davvero tanti… – vale sempre la pena di rischiare: per salvare una sorella o un fratello, per dare una famiglia a un bambino abbandonato e solo, per non perdere l’occasione di dimostrare a Dio, con il coraggio e la fantasia della carità, la misura della propria fede e speranza.

La strada, le periferie, gli scartati… le parole con cui papa Francesco ci mette in discussione oggi sono stati i gesti con cui don Oreste ci ha messo in discussione ieri. Gesti fecondi, che rimangono nella straordinaria esperienza della Comunità Giovanni XXIII: nell’amore «più grande» di quelle persone, soprattutto dì quelle famiglie, che aprono le porte, il cuore e la vita alle vite più rifiutate, quelle che nessuno vuole, vivendo di sobrietà gioiosa, di comunione e preghiera, e facendosi carico di tante sofferenze umane, nella semplicità nascosta del quotidiano.

Un carisma stupendo, quello della «Papa Giovanni», che, già da vescovo di Rossano-Cariati, avevo accolto con gioia come ricchezza per la diocesi e ancora oggi continuo a condividere, accompagnando il cammino di tanti amici e fratelli.

Un carisma stupendo, quello di don Oreste Benzi, in grado di raggiungere tutti e provocare, oggi come ieri, una rivoluzione d’amore, l’unica risposta evangelica alla cultura della morte e alla globalizzazione dell’indifferenza.

Per innescare questa rivoluzione, Dio ha chiamato un rivoluzionario: un uomo dal passo da gigante, dal cuore immenso, dalla voce imponente… Un giovane che parlava ai giovani ma che è sempre staro, e sempre è rimasto, un bambino entusiasta, trasparente, temerario: un bambino fiducioso e gioioso tra le braccia di Dio.

Santo Marciano Arcivescovo Ordinario militare per l’Italia
Lettera alla Postulazione,
11 marzo 2017
(tratto da Don Oreste Benzi fratello di tutti)

Mons. Vincenzo Paglia

Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, gran cancelliere del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II e presidente della Federazione Biblica Cattolica internazionale. Già presidente del pontificio Consiglio per la Famiglia (2012-2016) e vescovo di Temi (2000-2013)

Ho conosciuto don Oreste in un convegno degli operatori della carità promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana. La sua figura si imponeva per la semplicità per un verso, che andava dalla sua «famosa» tonaca lisa, alla passione più radicale per mettere al centro della Chiesa i poveri. Questo contrasto, o meglio questo legame, tra la semplicità nel presentarsi e il fuoco che sprigionava, colpiva chiunque lo incontrasse.

Il ricordo che ho di lui è quello di una figura che mostrava la forza e la bellezza della Chiesa del Concilio Vaticano II: in qualche modo lui esprimeva visivamente e operativamente, fuori di tanti orpelli, il cuore della misericordia. Con la sua persona don Benzi mostrava quell’incipit del Concilio (e quindi Giovanni XXIII), che mostrava una Chiesa che aveva scelto la medicina della misericordia come dimensione primaria della Chiesa. In questo senso, don Oreste era davvero un prete conciliare e trova un’assonanza straordinaria con papa Francesco, il quale continua quel «filo rosso» iniziato con papa Giovanni XXIII e che ha attraversato tanti testimoni, tra cui certamente don Oreste Benzi.

Ricordo che una delle cose più belle che ci dicemmo era la sua passione per la testimonianza. Mi diceva che la carità va vissuta prima che detta; va testimoniata, perché arrivi fino al cuore. E non è che gli mancassero le parole per dirla o per proporla sul piano pubblico. Mi diceva: «Noi la carità dobbiamo farla vedere: dobbiamo prenderci i bambini, dobbiamo andare dove stanno le ragazze sfruttate».

Una sottolineatura che più mi colpì era quella della comunità come la medicina più bella per guarire tutto; in particolare, la famiglia, intesa in maniera ampia, che poi era il senso della Chiesa come famiglia che accoglie. Questa fu una delle conversazioni che facemmo e che ci fece «scattare una simpatia».

Sono totalmente favorevole al fatto che si sia aperta la Causa di beatificazione, perché don Oreste nella sua figura raccoglie quella dimensione plurale dell’amore di cui oggi abbiamo estremo bisogno. Che figure come la sua possono essere mostrate anche ufficialmente, credo sia particolarmente necessario, perché c’è un quid, una dimensione di universalità dell’amore, che don Benzi mostra con la sua vita semplice e nello stesso tempo universale.

Un processo di beatificazione non è teso ad allontanare don Benzi da noi per metterlo più in alto, ma a far scendere il suo seme, a seminare la sua testimonianza il più largamente possibile.

Dall’Intervista rilasciata alla Postulazione,
5 gennaio 2017
(tratto da Don Oreste Benzi fratello di tutti)

Mons. Matteo Maria Zuppi

Arcivescovo di Bologna (2015)- Già vescovo ausiliare di Roma (2012-2015), parroco c assistente ecclesiastico generale della Comunità di Sant’Egidio, per la quale fu anche mediatore per la pace in Mozambico (1992)

Ho conosciuto don Oreste in varie occasioni pubbliche e di alcuni «impegni di strada» – diciamo così – legati alle sue iniziative a favore delle persone più deboli, con la Comunità di Sant’Egidio di cui faccio parte; inoltre, in alcune riunioni comuni, come per esempio al Pontificio Consiglio per i Laici.

Ciò che più mi ha colpito di don Benzi è la mitezza e la determinazione. Era un uomo mite, molto rispettoso, sorridente, ma allo stesso tempo con la determinazione che nasceva dalla sua convinzione. Mite con tutti, rispettoso di tutti, ma anche fermo nei suoi ideali.

Era un prete «antico» e nello stesso tempo così attento alla realtà; non ha mai smesso di interrogarsi sui segni dei tempi e su quei segni dei tempi che sono i poveri, i deboli. Partendo proprio da loro ha saputo capire tanti cambiamenti del mondo.

Il ricordo più forte è la sua convinzione che tutto è possibile, che la fede compie miracoli; mentre la rassegnazione ti fa credere che tutto è inutile, lui viveva invece nella convinzione che la fede compie miracoli e lo viveva con facilità, che poteva essere anche scambiata per superficialità o ingenuità.

Sono contento che si sia aperta la causa di beatificazione; al di là del processo, sappiamo quanto bene ha seminato. Tanti trovano in don Oreste un esempio, un incoraggiamento. Qualunque sarà l’esito del processo, già vediamo tanti frutti della sua santità.

Nella Chiesa di Bologna, per esempio, è molto ricordato; non soltanto da coloro che ne vivono il carisma – i membri della Comunità Papa Giovanni XXIII per intenderci – ma da tanti che ne vivono l’insegnamento e che sono incoraggiati dalla sua testimonianza.

Dall’Intervista rilasciata alla Postulazione,
30 dicembre 2016
(tratto da Don Oreste Benzi fratello di tutti)

Don Luigi Ciotti

Fondatore dei Gruppo Abele per il recupero delle dipendenze (1973) e dell’Associazione Libera contro i soprusi delle mafie e la cultura mafiosa ( 1995). Ha voluto esseri presente al funerale di don Oreste

Ho conosciuto don Oreste alla fine degli anni Settanta, quando capitava spesso che mi recassi a Rimini, invitato dalla diocesi e da monsignor Giovanni Locatelli, per incontri sul tema delle droghe e delle dipendenze. Un problema che stava assumendo dimensioni sempre più vaste e preoccupanti, e che don Oreste voleva capire, approfondire, per dare una mano alle tante persone, soprattutto giovani, che ne erano vittime.

Ricordo alcuni incontri con lui e alcuni suoi collaboratori, e proprio allora toccai con mano la grande passione e generosità di don Oreste.

Era un uomo di grande fede, animato da un’autentica, concreta attenzione per i poveri e gli ultimi, tanti dei quali ha accolto nelle case famiglia realizzate in anni d’impegno, luoghi di relazione e di dignità.

È stato un innamorato di Dio, un tenace portatore di speranza.

Mi accade di pensarlo e di ricordarlo: don Oreste, del resto, era una presenza «ingombrante», trascinante, che lasciava il segno. E questo suo esserci perdura nel cuore, nelle coscienze e nella preghiera.

Lo prego di «pregare» per noi. Dì aiutarci a proseguire con sempre maggiore forza verso quell’obbiettivo che, sia pure con stili e metodi diversi, abbiamo entrambi perseguito: la libertà e la dignità delle persone.

Dalla Lettera alla Postulazione,
29 marzo 2017
(tratto da Don Oreste Benzi fratello di tutti)

Ernesto Olivero

Fondatore del Serming (Servizio Missionario Giovani) di Torino insieme alla moglie Maria Cerrato, per realizzare il «sogno» di eliminare la fame e costruire la pace, dando ai giovani un grande ideale di vita (1964). Da esso nasce l’Arsenale della Pace (I983): 45.000 mq che accolgono poveri di ogni genere. Mediatore di pace in Italia e nel mondo e noto scrittore

Ci siamo trovati alcune volte, in alcuni convegni, e subito mi suscitava simpatia.

Era l’unico prete, tra quelli «famosi», dal quale sarei andato a confessarmi e a cui avrei dato tutto il mio portafoglio. Era un semplice cristiano e solo un semplice cristiano arriva a fare le cose che ha fatto lui; per cui se vedeva una donna persa, cercava non di redimerla, ma di aiutarla ad entrare in un’altra dimensione. La santità per me è questa; tutto il resto, le cose plateali non toccano la gente e lui non era certamente plateale. Le cose vere sono semplici e don Oreste era semplice, non era complicato, lui non parlava a vanvera, ma ciò che diceva lo viveva.

Don Oreste era un cristiano vero: un contemplativo e un uomo d’azione.

La Chiesa avrebbe dovuto averlo già fatto santo, perché le sue azioni parlano per lui.

Dall’Intervista rilasciata alla Postulazione,
11 luglio 2016
(tratto da Don Oreste Benzi fratello di tutti)

Giorgio Rastelli

Uno dei «ragazzi del 1949». Pensionato. Era bancario.

Era il 1984 e festeggiavamo il 35° anniversario di ordinazione sacerdotale del nostro grande amico don Oreste Benzi. Alcune di quelle ragazze ed alcuni di quei ragazzi che ebbero la fortuna di incontrare la sua opera pastorale quando era cappellano nel 1949, pensarono di festeggiare quell’avvenimento nella chiesa di San Nicolò al Porto, che l’aveva visto iniziare il suo ministero sacerdotale. L’incontro fu fissato per una domenica di aprile e trascorremmo una bellissima giornata fatta di lieti ricordi: a tutti non sembrò vero di ritrovarci ancora insieme, come ai tempi della fanciullezza e dell’adolescenza, con il nostro primo padre spirituale.

Qualche giorno dopo questa bellissima giornata, fui avvicinato da uno di coloro che vi aveva partecipato, dicendomi che voleva fare un’offerta a don Oreste. Volendo restare anonimo mi chiese se io fossi stato disposto a fare da tramite. Gli diedi il mio assenso. Qualche giorno dopo l’amico mi consegnò un assegno circolare di cinque milioni di lire, intestato a don Oreste.

Visto l’ammontare del titolo presi la bicicletta e andai alla parrocchia della Resurrezione con poche speranze di trovare il Don; invece, con mia grande sorpresa, davanti alla porta d’ingresso della chiesa, trovai il nostro grande amico. Quando mi vide mi chiese: «Giorgio, cosa fai qui?». Gli risposi: «Ti sono venuto a trovare». Io, infatti, ero solito ogni tanto andare a Messa nella parrocchia della Resurrezione al sabato pomeriggio. Immediatamente gli dissi che mi avevano dato un assegno come offerta per le sue attività. Dopo aver visto l’ammontare del titolo chiamò presso di sé alcune persone che sostavano sul sagrato, mostrò il titolo e disse: «Voi non ci crederete, ma ieri mi hanno telefonato dalla missione che abbiamo in Zambia, chiedendomi di spedire loro cinque milioni per costruire un pozzo. Ecco i soldi del pozzo!».

Dal Messaggio alla Postulazione,
21 novembre 2016
(tratto da Don Oreste Benzi fratello di tutti)

Daniele Gori

Riminese (1968), ha fatto voto di povertà, castità e obbedienza nella Comunità Papa Giovanni XXIII. Va ovunque ci sia bisogno di lui: case famiglia, Capanne di Betlemme per i senza fissa dimora, tra i nomadi, nelle prime accoglienze per le ragazze di strada, i profughi…

Ho quarantanove anni, sono elettricista, ma ho lavorato nella pescheria della mia famiglia. Ero fidanzato e non frequentavo la Chiesa.

Un giorno ho avuto un grave incidente, che mi ha costretto a letto per alcuni mesi: in quel tempo mi sono interrogato sul mio futuro, perché potevo rimanere in carrozzella per sempre, e sul senso della mia vita. Iniziai a leggere il Vangelo e giorno dopo giorno il mio cuore cambiava. Ho avuto un’esperienza forte del Signore e lì è nato in me il desiderio di vivere solo per Gesù. Lungo la strada ho incontrato la Comunità Papa Giovanni XXIII, dove anche i più scalcagnati, quelli che arrivano da qualsiasi esperienza e in qualsiasi stato di vita possono vivere il Vangelo.

Da qui nasce il mio incontro con don Oreste, innamorato di Cristo, che ha reso possibile la realizzazione di questo mio desiderio: poter accogliere nella propria casa, anche a qualsiasi ora della notte, ragazze schiavizzate in strada che fuggono dai loro «protettori»; i senza fissa dimora; donne con figli che non hanno dove andare; convivere con una famiglia rom nel proprio giardino, o ragazzi con handicap fisico o psichico che sarebbero relegati per tutta la vita negli istituti.

Quante volte don Oreste ti «scocciava» per chiederti di fare qualche accoglienza e quelle che ti chiedeva lui di solito erano belle toste! Quando poi ti chiedeva qualcosa veramente al limite, la telefonata cominciava così: «Ciao Daniele, come stai col Signore?». «Ah… bene grazie, adesso però un po’ preoccupato…».

Quanti bei momenti e quante risate con don Oreste! II bello era che quello che faceva se lo godeva proprio, ne gustava interiormente il piacere e poi non sprecava neanche un momento della sua esistenza.

Dovrebbero farlo subito santo, perché è rimasto fedele fino alla fine; perché ha avuto paura, ma ha superato la paura per un amore più grande; perché rimaneva in piedi stando in ginocchio; perché (per scelta) accoglieva tutti con gioia; perché si rapportava allo stesso modo parlando a un ministro o a un barbone; perché ti indicava la strada, la volontà di Dio nella tua vita; perché i miracoli li ha fatti da vivo.

Dalla Lettera alla Postulazione
21 novembre 2016
(tratto da Don Oreste Benzi fratello di tutti)

Alberto Capannini

Riminese, iniziatore dell’Operazione Colomba, un’azione di civili che per libera scelta vanno a vivere in zone di guerra con le popolazioni minacciate, per organizzare protezioni non violente (interposizione, sostegno, denuncia, riconciliazione). Ha vissuto nei Balcani, in Congo e Sud Africa, Chiapas, Cecenia, Palestina, Colombia, Timor Est, Indonesia e, negli ultimi tre anni, in Libano nei campi profughi. È sposato e papà di tre figli.

Ho incontrato per la prima volta don Oreste a diciotto anni, ad un incontro organizzato dall’Azione Cattolica di cui facevo parte e mi colpì profondamente una sua frase: «Quando moriremo Dio non ci giudicherà, ma i poveri sì» e dentro di me mi dissi: «Questa persona io devo conoscerla!». Aveva una passione nel parlare, che a me sembrava poesia.

Dopo qualche anno scelsi di fare il servizio civile nella Comunità Papa Giovanni XXIII, che mi portò poi a dar vita all’«Operazione Colomba». Ispirato anche da Martin Luther King, vedevo nella non-violenza il cuore stesso del Vangelo: un amore che resiste anche alla violenza e alla morte, come quello di Gesù, ma non sapevo come concretizzare questo sogno.

L’«Operazione Colomba» è stata la realizzazione di questo desiderio che portavo nel cuore fin da bambino ed essa si compone di tre ingredienti: la condivisione, che ai membri di altre religioni che incontriamo spieghiamo con questa frase: «la mia vita vale come quella degli altri»; la non-violenza, come forma di amore al prossimo, molto più estremo dell’odio; e la riconciliazione, come forma di guarigione.

Don Oreste era una persona molto accogliente, sorrideva sempre: anche quando era in macchina e riceveva mille telefonate per situazioni difficilissime, lui aveva sempre quel sorriso di «leggerezza», come quello di un bambino; per quanto fosse grande il problema, non era mai tanto grande da fargli perdere la speranza, il buon umore. La sua fede era semplicissima e anche la sua preghiera era come quella di un bambino: «Gesù, io e Te, oggi, sempre insieme!».

Don Oreste era capace di stupirti: se a te sembrava di aver pensato una cosa impossibile, lui, più anziano di noi, riusciva sempre a pensarne una più grossa.

Se essere «santi» significa essere una persona intrisa di Dio, che indica una direzione di vita ed è capace di tirar fuori il meglio (e non il peggio) che c’è in te, devo dire che don Oreste è uno di loro!

Dall’Intervista rilasciata alla Postulazione,
15 dicembre 2016
(tratto da Don Oreste Benzi fratello di tutti)

Angela Guardabascio

Nata a Forlì (1958), sposata e mamma di Valentina. Si occupa dei senza fissa dimora.

Ho conosciuto l’amatissimo don Oreste nel 1980 esattamente l’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione. Io non ero tanto immacolata, mi sentivo sporca e anche se a soli ventidue anni, unita, morta! I miei genitori mi avevano caricato in macchina di peso, io non camminavo nemmeno più, devastata dall’astinenza e dall’astenia, pesavo trentasette chili.
Cercavamo disperatamente di arrivare a San Patrignano, poiché il nostro medico di famiglia aveva saputo che lì un uomo raccoglieva ragazzi drogati.

Giravamo per Rimini senza sapere dove andare né a chi chiedere informazioni. Quelli, per la mia famiglia, erano giorni di vergogna, di disperazione, di sensi di colpa e di impotenza; per me solo voglia di morire.

Nel tentativo di chiedere qualche informazione, incontrammo una suora, che poi scoprimmo essere la direttrice dell’asilo parrocchiale della Grotta Rossa. Mio padre nel vedere quella suora si rincuorò, forse quel velo accese la speranza, ci disse che non conosceva San Patrignano, ma se volevamo seguirla ci avrebbe condotti da un sacerdote che aiutava chiunque. E da questo incontro affatto casuale incontrai per la prima volta il Don. Usciva dalla Messa che aveva appena celebrato, mi venne incontro con il suo meraviglioso sorriso e a braccia aperte. Mi ha chiamato «Saraghina» [pesce sottile, ndr] e mi ha guardato negli occhi.

lo ormai erano due anni che guardavo solo per terra e camminavo rasente ai muri nella folle speranza di farmi trasparente, avevo così schifo di me stessa, mi sentivo un cartoccio vuoto, il pensiero fisso di trovare il coraggio di farla finita.

Non mi ha mai parlato di droga, di devianza, di peccato, di pentimento, di redenzione, mai! Mi ha sempre e solo parlato d’amore, di fiducia e di speranza. E da grande profeta che era ed è, di me aveva capito già tutto. Ed ha aperto subito la porta come se fosse la cosa più normale del mondo, mi ha offerto tutto ciò che aveva: la speranza, la sua vita, ciò che aveva costruito con altri fratelli. Mi ha offerto la comunità intera, affinché trovassi ciò che invano avevo cercato: la risposta era lì, nelle case famiglia, nei giovani che lasciavano tutto: studi, famiglia, lavoro, per diventare padri e madri e fratelli di matti, storpi, drogati, assassini, zingari. ladri, barboni.

Questa è stata la vera terapia, il Don aveva capito subito che la mia salvezza sarebbe passata solo da lì; avrei potuto innamorarmi di me stessa solo imparando ad amare chi mi stava intorno.

Probabilmente sto per dire una bestemmia, la mia fede non è tenace come vorrei, anzi, fa acqua da tutte le parti, ma la certezza della santità del Don è cieca, mai giuro, ho dubitato neppure per un attimo di ciò. Il Don è riuscito a presentarmi Gesù e farmi fare amicizia con lui, anche se il cammino è ancora lunghissimo.

Il Don ha dato dignità a tutti coloro che ha incontrato, poiché l’uomo fatto a somiglianza di Dio era l’unica cosa che gli interessava nella vita: perché in ognuno incontrava Dio e tu lo sentivi che quando ti guardava eri unico; e appena posava lo sguardo su un altro fratello, anche lui era unico, perché tutti lo eravamo ai suoi occhi, senza nessuna distinzione tra deboli e potenti, solo che il debole lo avvolgeva di una tenerezza tutta particolare, capace di guarire anche il cuore più desolato.

Ogni anno, fino alla sua morte, l’8 dicembre io lo chiamavo per ricordargli l’anniversario del nostro primo incontro e lui, miracolosamente, mi rispondeva sempre e si ricordava. Continuo tuttora a chiamarlo, anche se risponde un messaggio di segreteria, dicendo che il numero è irraggiungibile, ma sono convinta che lui lo sa e sorride.

Potrei scrivere un libro su tutto ciò che ho vissuto con il Don, su tante avventure divertenti, sul tempo passato insieme fra viaggi, incontri, ecc. perché non c’è stato momento in cui non mi abbia insegnato qualcosa: li tengo tutti serbati dentro di me come una ricchezza inestimabile.

Pochi giorni dopo la sua morte, la mia figlia più piccola, Valentina, che all’epoca aveva sette anni, sognò don Oreste che, come Mary Poppins, volava in cielo con la sua tonaca, appeso ad un ombrello, sorridendo a tutti noi: questa immagine mi è tanto cara e spesso lo immagino così.

Spero solo che da lassù mi perdoni e continui ad amarmi.

Angela Guardabascio
Lettera alla Postulazione,
16 gennaio 2016
(tratto da Don Oreste Benzi fratello di tutti)

Dott. Amedeo Brici

Riminese, classe 1926 e amico di don Oreste. Si sono conosciuti nel 1938, quando don Oreste era ancora seminarista, e la loro amicizia si è sempre più consolidata. Sposato e già medico chirurgo presso l’Ospedale di Santarcangelo di Rimini.

Testimonianza inedita

Pur essendo profondamente devoto alla Madonna, don Oreste non si era mai recato a Lourdes.

A 81 anni organizza questo Pellegrinaggio dal 5 al 9 Settembre del 2006 e porta a Lourdes più di mille pellegrini giunti col treno, con l’aereo, con autobus o con mezzi propri.

Al pellegrinaggio ha partecipato anche nostro genero: M. B. accompagnato dalla moglie e dai figli; M. era affetto da una grave forma tumorale che si era diffusa in gran parte dell’addome. Al suo ritorno a casa, ha raccontato questo episodio relativo a don Oreste:

«Eravamo sul piazzale della Grotta, con me E., D., C. e L.; don Oreste ci ha visti e ci è venuto incontro per salutarci. C’era anche Don Sisto. Eravamo in attesa della Santa Messa e don Oreste mi ha portato sotto la Grotta della Madonna dicendomi: “Vieni con me”. Ci siamo fermati in preghiera: io, inginocchiato, ero alla sua destra e don Oreste teneva la sua mano destra sul mio capo; don Sisto era a sinistra. Eravamo ancora in preghiera, quando vennero a chiamare don Oreste e dovettero chiamarlo ancora tre volte dicendogli che era ora di Messa; don Oreste non rispondeva, era assorto e guardava fisso la Madonna. Ad un ulteriore richiamo si è come risvegliato e si è rivolto a me dicendomi: “Ho visto il Paradiso; adesso posso anche morire”. Poi assieme a don Sisto sono andati a prepararsi per la Santa Messa».

Ho ritenuto opportuno segnalare questo episodio, così come è stato descritto da M. B., anche se i veri testimoni, Don Sisto e M. B., vivono già una Vita che non conosce tramonto.

Dall’archivio del Centro di Documentazione Comunità Papa Giovanni XXIII

Per segnalare grazie e favori ricevuti per intercessione del Servo di Dio don Oreste Benzi

Postulatrice Elisabetta Casadei
Postulazione Causa di canonizzazione don Oreste Benzi
Via Cairoli, 69 – 47923 Rimini (RN)
T. 349 3237566
infocentromarvelli@gmail.com