La strategia dei mondi vitali

I primi cristiani avevano fatto la libera scelta di “essere” insieme, di “esistere” insieme. Si erano convertiti a Cristo e Gesù era il loro nuovo “essere”, che dava origine al nuovo “essere comportamentale comune”. Come realizzarlo oggi?
La prima linea strategica parte dal basso. Occorre che le persone che non accettano le regole del profitto e che vogliono intraprendere la strada del gratuito s’incontrino per dare vita a “mondi alternativi”, fondati su un sistema di relazioni interpersonali basate sul gratuito. All’interno di questi “mondi vitali” deve nascere non tanto la elaborazione teorica, quanto la sperimentazione di vita.

Comunità Papa Giovanni XXIII – Storia di un cammino

In uno scritto risalente ai primi anni ’90, don Oreste ripercorre le tappe della nascita e della crescita della Comunità. Dalla prima intuizione del 1953, quando era assistente della Gioventù Cattolica, alle vicende legate alla costruzione della Casa Madonna delle Vette sulle Dolomiti. Dalla scoperta degli adolescenti “terra di nessuno”, in cui il Signore «indicava il primo consistente nucleo dei poveri ai quali avremmo dovuto dare la vita, non come assistenza ma come appartenenza», all’incontro con le persone handicappate. Fino alla nascita nel 1973 della casa famiglia, prima espressione di tutte le altre forme di condivisione diretta che seguiranno negli anni, segnati dall’incontro con nuove forme di povertà e di emarginazione, che portano la Comunità anche in terra di missione. Il carisma particolare ricevuto dallo Spirito dai membri della Comunità si precisa e viene riconosciuto dalla Chiesa: «Abbiamo capito che la ragione della nostra condivisione è Gesù che condivide la vita degli uomini a partire dagli ultimi, e che questo suo modo di essere non è altro che il risultato del suo modo di essere con il Padre: una sola cosa».

La missione del prete in una chiesa chiamata a testimoniare la carità

«…perché mi siete divenuti cari» (cfr. 1Ts2,7)

Il primo problema di ogni prete, il problema fondamentale, è la fede, ma in ordine operativo, come dice bene S. Agostino, il primo problema è l’amore; è perdersi per generare vita. Credo che la conversione nostra stia nel perdersi. Il problema è mantenerci in quell’amore e, per potercisi mantenere, bisogna lasciarsi attirare da Cristo. Bisogna mettere in discussione tutte le nostre sicurezze. Io non sono a posto, anche io ogni giorno devo mettere in discussione tutte le mie sicurezze.

Io credo che la vita del prete sia una vita perduta, senza schemi: l’amore non ha schemi. E credo che la vita del prete sia questa: ogni volta che torni a casa, vai a riferire al Signore come sono andate le cose ed ogni volta che esci dalla chiesa vai a riferire ai fratelli qual è il cammino con il Signore. In fondo quello che ti chiedono è il Signore, vogliono vedere Cristo e nel medesimo tempo si ricostruisce la comunità cristiana.

Non guardatevi le punte dei piedi

Ogni persona si sente dono nella misura che esiste per qualcuno. Se uno non esiste per qualcuno, in realtà è come se non esistesse. La vita allora è un canto nella misura che tu accogli, nella misura che tu sei dono. Quando voi non vi sentite più dono fate presto a invecchiarvi.
Non guardatevi le punte dei vostri piedi, sentitevi sempre un dono senza fine.

Una comunità matura

Fino a quando una comunità non riesce a sopportare lo scandalo che proviene dal limite, quella comunità è immatura, perché i suoi membri sono chiusi in se stessi e non hanno ancora valicato la soglia di un “io” che tiene prigioniera la persona e che non va oltre.
Non dobbiamo separarci da chi ha il limite, perché la separazione è dovuta alla immaturità, è dovuta al non rispetto dell’altro, al non senso del mistero di Dio nell’altro, è dovuta alla nostra infermità.
Devo vedere il limite, ma non separarmi da chi ce l’ha. Il limite dell’altro segna l’inizio della mia responsabilità.

Rimanere giovani in Dio

Ogni generazione che viene al mondo ha il diritto di trovarci come se noi iniziassimo in quel momento, portando tutta la nostra ricchezza interiore; gli altri hanno il diritto di vederci sempre giovani, mai devono essere castigati a vedere il nostro invecchiamento. È solo il peccato che spegne tutto e fa invecchiare; perché il peccato è il limite, quindi è la morte: affossa lo spirito umano che, fatto per Dio, guarda sempre all’oltre e all’infinito.

Metti un povero nel tuo cuore

La nostra vocazione è stupenda: certo che devi lasciare delle cose e che devi sceglierne delle altre, ma in quella tua scelta qualcosa di nuovo nasce, qualcosa di vecchio muore. Che bello! E tutto questo scaturisce da quell’intima contemplazione di Dio che è nel tuo cuore. Contemplazione e incarnazione diventano due aspetti di una stessa realtà di Cristo che entra dentro di te e ti fa pienamente libero. Nasce una nuova civiltà, entri nella civiltà del gratuito: finalmente ritorni ad essere fratello.

Renderci insopportabile l’ingiustizia

I poveri spereranno nella misura che cresceranno degli uomini veramente liberi che si sentiranno coinvolti nel fratello che subisce l’ingiustizia. Solo quando ci sentiremo colpiti dentro di noi nell’ingiustizia subita dal fratello, finalmente quel fratello spererà.
Se io non mi sento maledetto con i maledetti, disprezzato con i disprezzati, potrò dar loro una mano ma poi io rimango con me stesso e loro rimangono con se stessi. Invece la condivisione è l’altro che entra con la sua realtà dentro di te: non ti fa più essere quello che eri prima, perché ti fa diventare insopportabile l’ingiustizia.
Condividendo ti accorgerai poi che il povero ti ha liberato, che il povero ti ha aperto la mente: insieme a lui, mettendoti al suo fianco, ti accorgi che cominci un cammino di liberazione!

Ogni uomo cerca la gioia

Il nostro essere è un insieme di finito e di infinito, di limitato e di illimitato, di provvisorio e di eterno, di effimero e di valido per sempre.
Nel limite, nell’effimero, nel provvisorio, in ciò che passa, l’uomo trova il piacere. Invece, nel non-limite, nell’infinito, la persona umana trova la gioia che è gaudio, che è serenità, che è pace, che è amore, grazia, perdono. La gioia nasce dalla conquista di noi stessi. La gioia in fondo non è altro che amore che si esprime, un amore universale, infinito; è Dio che si esprime dentro di noi.

La nostra vocazione

Non solo lavorare per il Signore, ma “vivere” con il Signore.I poveri ci fanno stare con Cristo, e ciò è meraviglioso, ma non basta: è necessario arrivare al punto che è Cristo che ci fa stare con i poveri. Se la nostra vita non diventa posseduta da Cristo e quindi dai poveri, si corre il rischio che questi siano traditi anche da noi.