La nostra vocazione

[1]Noi nella Comunità lavoriamo per Cristo, e ciò è cosa grande. Noi siamo nell’azienda del Signore e, sono certo, nessuno di noi andrebbe a lavorare in un’altra; e questo è bello, è stupendo, ma non basta.

Non solo lavorare per il Signore, ma “vivere” con il Signore.

Io potrei lavorare per il Signore ma poi tenermi tutto me stesso nell’interno di quel lavoro (tenermi il mio orgoglio, la mia vanità, i piaceri sessuali illeciti, la meschineria).

Se io vivo con il Signore non tengo più la mia vita per me, ma la faccio compenetrare da quella di Cristo povero e servo, fino al punto da poter dire “non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me” (Gal 2,20).

I poveri ci fanno stare con Cristo, e ciò è meraviglioso, ma non basta: è necessario arrivare al punto che è Cristo che ci fa stare con i poveri. Se la nostra vita non diventa posseduta da Cristo e quindi dai poveri, si corre il rischio che questi siano traditi anche da noi.

Il punto nodale di ogni membro della Comunità è dunque questo: “dico di sì o di no a Cristo, giocando in lui tutta la mia vita? Voglio o no sostituire alla mia vita quella di Cristo povero e servo? Voglio o no incarnare lui in me?”

Quando uno appartiene in pienezza alla Comunità?

Quando ha posto come fondamento della propria vita Cristo.

Quando non ha altri in cui riporre la propria salvezza al di fuori di lui (cfr. At 4,12).

Quando getta la propria vita sulla sua parola (cfr. Lc 5,5).

Quando, riconoscendolo come Figlio di Dio, per lui «vivere è Cristo» (Fil 1,21), per cui vive sì lui, ma non è più lui che vive, ma è Cristo che vive in lui (cfr. Gal 2,20).

Quando ha deciso di condurre la vita che ha in questo corpo mortale nella fede del Figlio di Dio (cfr. Gal 2,20).

Quando cerca con tutte le proprie forze di ragionare non alla moda degli uomini, ma secondo Dio (cfr. Mt 16,23).

Quando ha deciso in cuor suo che nessuna cosa lo separerà dall’amore di Cristo (cfr. Rm 8,35).

Quando vuole che i suoi sentimenti siano i medesimi di Cristo (cfr. Fil 2,5).

Quando il suo cibo è fare la volontà del Padre (cfr. Gv 4,34).

Quando ha deciso in cuor suo di essere povero di se stesso radicalmente, definitivamente, totalmente, come Gesù, per essere solo a disposizione di Dio, per cui suo cibo è fare la volontà del Padre (cfr. Gv 4,34) e da se stesso non fa nulla, ma solo quello che il Padre gli dice di fare, per cui cerca di fare sempre ciò che piace al Padre (cfr. Gv 8,29).

Quando non ripone più la propria sicurezza nelle cose, ma nella certezza che il Padre lo ama.

Quando non cerca la propria gloria ma quella di colui che l’ha mandato (cfr. Gv 8,50), per cui non ha nulla di proprio da difendere.

Quando ha deciso di seguire totalmente, definitivamente Gesù povero e non guarda più dove va, ma guarda a colui che lo manda, non guarda più ciò che fa, ma a colui che gli dice di fare, per cui il Padre può fare di lui ciò che vuole: è servo di Dio.

Quando vuole essere talmente povero che non si scandalizza più di niente, ma va avanti in forza di lui. [2]

Quando vuole essere talmente povero, che non sta con gli altri membri della Comunità perché sono buoni, ma non si allontana da loro perché sono cattivi.

Quando vuole essere talmente povero, che accetta il dono del perdono.

Quando ha deciso in cuor suo di vivere una vita nel puro essenziale e niente di più, di non tenere per sé ciò che lo separa dagli ultimi.

Quando ha deciso in cuor suo di scegliere liberamente ciò che gli ultimi sono costretti a vivere per forza.

Quando ha deciso di mettere la propria spalla sotto la croce del fratello e di portarla insieme.

Quando pur potendo essere nella comodità, nella stima, nella ricchezza, si libera da tutte queste cose per essere uguale agli ultimi e con loro risalire verso la giustizia, l’uguaglianza, la dignità della persona.

Quando sente fame nello stomaco di chi ha fame.

Quando sente se stesso disprezzato in chi è disprezzato.

Quando sente se stesso emarginato in chi è emarginato.

Quando fa entrare la vita del povero nella propria vita.

Quando non chiama più nulla mio, ma vede tutto come mezzo per esprimere l’amore di Dio.

Quando non può tollerare in sé la ricchezza mentre gli altri sono nella povertà e opera pazientemente e tenacemente perché i ricchi si accorgano dei poveri a fatti e non a parole.

[1] Trascrizione di un testo autografo senza data, poi apparso parzialmente sul mensile Sempre del gennaio 1981.
[2] Fino a qui testo riportato su Sempre N. 1 – Gennaio 1981, nell’editoriale dal titolo: “Con Cristo…”, pp. 1 e 4.