Una comunità matura

Una comunità è matura quando, nel momento in cui i suoi membri scoprono il limite gli uni degli altri (ed i momenti sono innumerevoli), essa supera lo scandalo che tali limiti generano.
Fino a quando una comunità non riesce a sopportare lo scandalo che proviene dal limite, quella comunità è immatura, perché i suoi membri sono chiusi in se stessi e non hanno ancora valicato la soglia di un “io” che tiene prigioniera la persona e che non va oltre.
Io ne sono convinto: una comunità è matura quando i suoi membri si vedono l’un l’altro come un dono di Dio, come persone scelte da Dio, come persone amate da Dio come se fossero “unici” pur costituendo una unità totale. Credo che la maturità porti a credere all’altro, anche se l’altro fa l’impossibile perché tu non creda in lui. È quel credere che viene dalla contemplazione di Dio e del dono di Dio, per cui tu vieni ad aver fede anche per l’altro che non l’ha per se stesso e non l’ha nel Signore. E allora tu credi in lui anche se lui fa tutto il possibile perché tu non creda in lui.
La Comunità così acquisisce una saggezza che fa superare la decisione in base al peccato e porta a non reprimere ma ad entrare nella profondità del mistero dell’uomo, a contemplarlo, a svilupparlo, a non spegnerlo e questo è possibile solo quando nel nostro essere la povertà, alla quale noi tutti siamo chiamati, ha raggiunto un certo livello e va oltre. Altrimenti la ricchezza di te stesso ti fa scontrare solo con il limite dell’altro e ti impedisce di penetrare nel mistero profondo del suo essere, là dove in fondo lui piange, soffre e non sa neanche il perché.

Credo che la superficialità non sia costituita dal singolo errore, ma dalla non sensibilità al mistero profondo che è dentro ogni uomo: solo quello crea il senso di un grande rispetto come ogni mistero, e matura il silenzio, come ogni cosa troppo chiara si trasforma in chiacchiera ed in superficialità.
Contemplate, quindi, il mistero di Dio che è in ciascuno di voi!
Noi litighiamo sul limite, perché abbiamo insufficiente capacità di contemplazione del Mistero che ci rende rispettosi e ci dà saggezza, ma che non viene dall’umano, ma da Dio!

Non dobbiamo, forse, allora vedere i limiti? Certo che li dobbiamo vedere! Non sarebbe amore far finta di non vedere i limiti; sarebbe disinteresse, sarebbe negazione dell’altro, sarebbe stoltezza. Deve coesistere l’amore al mistero dell’altro, con la conoscenza perfetta del suo limite.
Devono saper coesistere, quindi, questi due elementi: un infinito che rende possibile sopportare il finito ed il limite. Dobbiamo vedere il limite dell’altro, ma non separarci da lui perché ce l’ha.
Non dobbiamo separarci da chi ha il limite, perché la separazione è dovuta alla immaturità, è dovuta al non rispetto dell’altro, al non senso del mistero di Dio nell’altro, è dovuta alla nostra infermità.
lo, quindi, devo vedere il limite, ma non separarmi da chi ce l’ha. Lo scandalismo che c’è nella Chiesa è frutto sempre di immaturità, quando non è istigato da Satana.
Dirò di più: il limite dell’altro segna l’inizio della mia responsabilità. Ecco fratelli a cosa siamo chiamati: a vivere in una scuola vicendevole di grande umanità e proprio per questo il peccato dell’altro è una chiamata ad amare di più.
Quando uno ama l’altro, ma di un amore sincero (e non fraintendetemi in quel che dico), ama anche i suoi difetti, e poiché ama, li vuole rimuovere. Ma noi amiamo in maniera disincarnata!
Dobbiamo amare invece in maniera incarnata: Cristo si è incarnato, non ci ha comandato di amare in astratto! Dio ci ha fatto amare in concreto! L’amore è nella concretezza e non nell’astrazione: finché tu sei astratto vuol dire che ami te stesso negli altri, ma non sei amore.

(dalla relazione introduttiva del 01/05/1987 alla Tre Giorni Generale di Comunità
svoltasi presso la Colonia S. Maria al Mare a Igea Marina – FO – 1/3 maggio 1987 .
Testo inserito nella rubrica “Promemoria” in Sempre N. 11 – dicembre 2011)