Pubblicati da Michele Canuti

Bando all’ipocrisia. Quella donna è nostra sorella

Tratto da “Avvenire”

Perché i maschi concepiscono la donna come uno strumento al servizio del loro piacere? Ma questa è una aberrazione mentale. La donna è donna, persona con tutti i diritti della persona. Una persona che soffre, spera, piange.
L’odissea di Giuseppina è un urlo che va dritto al cuore di quanti tirano a campare nell’indifferenza e nel quieto vivere, ed è per tutti un invito ad assumersi le proprie responsabilità verso ogni uomo e ogni donna che ci passa accanto. Il silenzio dei buoni è la causa del trionfo del male.

Comunità Papa Giovanni XXIII – Storia di un cammino

In uno scritto risalente ai primi anni ’90, don Oreste ripercorre le tappe della nascita e della crescita della Comunità. Dalla prima intuizione del 1953, quando era assistente della Gioventù Cattolica, alle vicende legate alla costruzione della Casa Madonna delle Vette sulle Dolomiti. Dalla scoperta degli adolescenti “terra di nessuno”, in cui il Signore «indicava il primo consistente nucleo dei poveri ai quali avremmo dovuto dare la vita, non come assistenza ma come appartenenza», all’incontro con le persone handicappate. Fino alla nascita nel 1973 della casa famiglia, prima espressione di tutte le altre forme di condivisione diretta che seguiranno negli anni, segnati dall’incontro con nuove forme di povertà e di emarginazione, che portano la Comunità anche in terra di missione. Il carisma particolare ricevuto dallo Spirito dai membri della Comunità si precisa e viene riconosciuto dalla Chiesa: «Abbiamo capito che la ragione della nostra condivisione è Gesù che condivide la vita degli uomini a partire dagli ultimi, e che questo suo modo di essere non è altro che il risultato del suo modo di essere con il Padre: una sola cosa».

La missione del prete in una chiesa chiamata a testimoniare la carità

«…perché mi siete divenuti cari» (cfr. 1Ts2,7)

Il primo problema di ogni prete, il problema fondamentale, è la fede, ma in ordine operativo, come dice bene S. Agostino, il primo problema è l’amore; è perdersi per generare vita. Credo che la conversione nostra stia nel perdersi. Il problema è mantenerci in quell’amore e, per potercisi mantenere, bisogna lasciarsi attirare da Cristo. Bisogna mettere in discussione tutte le nostre sicurezze. Io non sono a posto, anche io ogni giorno devo mettere in discussione tutte le mie sicurezze.

Io credo che la vita del prete sia una vita perduta, senza schemi: l’amore non ha schemi. E credo che la vita del prete sia questa: ogni volta che torni a casa, vai a riferire al Signore come sono andate le cose ed ogni volta che esci dalla chiesa vai a riferire ai fratelli qual è il cammino con il Signore. In fondo quello che ti chiedono è il Signore, vogliono vedere Cristo e nel medesimo tempo si ricostruisce la comunità cristiana.

La nostra vocazione

Non solo lavorare per il Signore, ma “vivere” con il Signore.I poveri ci fanno stare con Cristo, e ciò è meraviglioso, ma non basta: è necessario arrivare al punto che è Cristo che ci fa stare con i poveri. Se la nostra vita non diventa posseduta da Cristo e quindi dai poveri, si corre il rischio che questi siano traditi anche da noi.