MESSA COMUNITARIA DEL 22/02/1986 – 2° DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO C

Gesù, lo vedete leggendo il vangelo di Luca nei passi precedenti a quello che abbiamo proclamato oggi, aveva annunciato la sua prossima morte. Subito dopo questo annuncio, Egli è in preghiera sul monte. In Luca voi vedete che i momenti più forti della vita di Gesù sono immersi nella preghiera. La vita di Gesù era così intensa, dice il vangelo, che non aveva neanche il tempo di mangiare. Era una vita estremamente attiva, perché tutti lo cercavano.

Pur tuttavia, questa vita così intensa è immersa nella preghiera: «Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera» (Lc 3,21); la sua fama si diffondeva ovunque, anche al di fuori della Giudea e della Galilea, e tutti lo cercavano, ma Gesù, immerso così nella vita, «si ritirava in luoghi solitari e stava in preghiera» (Lc 5,16). Così pure Luca racconta che Gesù, prima di scegliere i dodici, sale sul monte e se ne sta immerso nella preghiera (cfr. Lc 6,12).

Dice Marco che di buon mattino si alzava e si ritirava in luoghi solitari a pregare; talora Gesù passava la notte in preghiera. Tuttavia la sua vita era ormai mangiata dal popolo ed Egli era immerso in un’attività intensa. Perché questo?

Il Signore non indica soltanto la via all’uomo, ma fa il cammino con lui. Una vita intensa di attività, divorata dalle creature, dai poveri, non è certamente in opposizione ad una vita immersa nella preghiera, anzi! Credo sia molto difficile reggere a una vita totalmente presa dal prossimo, se quella vita non è totalmente presa da Dio. E quando la vita è totalmente presa da Lui, c’è una forza particolare che rende possibile ciò che è impossibile umanamente.

L’uomo ha bisogno non soltanto di farsi indicare il cammino da Dio, ma di camminare con Lui. L’uomo, per essere pienamente uomo, ha bisogno di una profonda esperienza di Dio. La parola esperienza vuol dire provare, vuol dire sentirlo: è una compenetrazione. Noi notiamo, in quegli amici del Signore che chiamiamo santi, come essi erano costantemente presenti a Dio e Dio era presente a loro. Erano in una sintonia piena, per cui la loro vita era tanto umana.

Noi possiamo correre il rischio di avere un’attività umana estremamente intensa, ma priva di Dio e purtroppo quell’attività non costituisce un’esperienza umana, perché manca dell’esperienza di Dio. È l’esperienza di Dio che rende l’attività umana profonda esperienza dell’uomo, perché le dà il pieno senso. Io ritengo che in qualsiasi situazione l’uomo venga a trovarsi, se fa un’esperienza profonda di Dio, guarisce; anche dalla droga e dalle mille droghe che ci sono. Ma senza Dio potrà imparare nozioni, farle entrare dentro di sé come imperativi categorici, ma manca della dimensione più profonda e piena.

Non basta all’uomo essere colto, non gli basta conoscere tutte le tecniche umane, perché «non di solo pane vive l’uomo». Prima abbiamo ripetuto molte volte: «Il Signore è mia luce e mia salvezza»; dicevo dentro di me: Signore, possa diventare anche mia esperienza. Quando l’uomo ha provato questo, tutta la vita cambia. Come Dio ci libera dalla vanità di questo mondo, facendoci vivere tutta la pienezza della realtà umana!

Prima abbiamo ripetuto quelle stupende parole: «Di te ha detto il mio cuore: “Cercate il suo volto”; il tuo volto, Signore, io cerco». Com’è profonda questa frase, com’è vera in ogni uomo! «Non nascondermi il tuo volto… Sei tu il mio aiuto, – e l’ho sperimentato – non abbandonarmi, perché tu sei il Dio della mia salvezza. Sono certo di contemplare la bontà del Signore» (Sal 26).

Questa esperienza di Lui può avvenire solo nella preghiera.

È indispensabile l’esperienza della preghiera perché l’uomo possa fare esperienza piena di Lui e nell’esperienza di Dio l’uomo capisce tutta la pienezza della sua dignità di uomo e arriva a capire il significato della sua esistenza. Non staccatevi da Dio, fratelli miei! Fuori dall’esperienza di Dio, ricordatevelo, si cade in quello che ci dice San Paolo oggi nella Lettera ai Filippesi: «la perdizione, però, sarà la loro fine perché essi hanno come dio il loro ventre».

Tu non puoi fare a meno di Dio, per cui fai diventare il tuo dio qualcosa o qualcuno. E molti hanno come dio il loro ventre, come dio il loro orgoglio, come dio la loro vanità, come dio il loro egoismo, come dio la loro carnalità, per cui riducono ciò che è stupendo nella vita dell’uomo e della donna ad una pura carnalità, anziché essere l’espressione di un qualcosa di stupendo nel disegno di Dio.

Il loro dio è diventato il loro orgoglio, per cui non perdonano, per cui non passano sopra, per cui non respirano il respiro universale di cosa voglia dire amare i nemici, fare del bene a chi fa del male, perdonare chi ti offende. Questo noi dobbiamo temere! Non dobbiamo temere di amare troppo, dobbiamo temere di amare poco. Non dobbiamo temere di pregare troppo, dobbiamo temere di pregare poco. Non dobbiamo temere di donarci troppo, dobbiamo temere di non donarci a Dio, perché diventa impossibile poi donarsi all’uomo.

L’uomo diventa il tuo spazio di affermazione, allora ad un certo punto butterai via tutto, ma certamente una ragione la troverai sempre. Ma la vera ragione è che non ti sei dato al tuo Dio come dovevi. «Mentre pregava il suo volto cambiò d’aspetto»: è la profonda esperienza di Dio. Tutti ne abbiamo bisogno. Se tra di voi ci fosse uno che mi dicesse: «Padre, io sono ateo», io direi: «Guarda, proprio perché mi dici che sei ateo, tu hai bisogno di pregare. Sembra una contraddizione ma non lo è, perché sei pieno di te. Tu non sei un dio».

L’altro punto grande della meditazione di oggi è questo: i discepoli erano in forte crisi, perché si ponevano questa domanda: ma se Lui è il Figlio di Dio, come è possibile che il Figlio di Dio debba patire, morire, essere crocifisso? Non lo potevano accettare, era una cosa impossibile nella cultura del tempo. Non avevano capito la parola del Servo di Dio in Isaia, non avevano capito i canti del Servo di Jahvè, non li potevano capire. Il Signore allora si trasfigura mentre è in preghiera. E appaiono Mosè ed Elia (che rappresentano la Legge e i Profeti), che parlano con Lui e discutono della sua prossima morte, della sua crocifissione, mentre Egli era trasfigurato.

Ecco le due realtà in Cristo: la realtà del risorto e la realtà del crocifisso. Fratelli, questa realtà del Cristo siamo noi, siamo noi oggi. La vita del cristiano è una vita di gioia, sempre. L’uomo non può vivere senza gioia. Ma la gioia è ben distinta dal piacere. Mentre il piacere blocca lo sviluppo umano, la gioia invece è la crescita dell’uomo nella sua pienezza. Però questa gioia scaturisce dalla duplice realtà del cristiano: una persona eternamente crocifissa ed eternamente risorta.

Su questa terra noi vivremo sempre la crocifissione e la risurrezione. Sono i due modi di essere del cristiano. Tu non puoi generare alla vita se rifiuti la crocifissione, d’altra parte non puoi accettare di essere crocifisso se non hai la speranza della risurrezione che è immediata. E questo lo capisci nella preghiera, fratello mio! Se tu non preghi, non puoi capire queste cose. Potranno essere cose imparate a memoria, ma non esperienza di vita.

Perché la crocifissione? Tu, mamma, mentre educhi la tua creatura, nel distacco da tutte le cose, piena di amore, senti che con quella creatura devi ingaggiare, sotto un certo aspetto, una lotta, perché è piena di istinti. Ma tu vuoi che quella creatura cresca nella sua pienezza, quindi secondo Dio. Allora accetti di essere crocifissa col Signore. Ma mentre sei crocifissa con Lui, sei anche risorta con Lui, perché spendi la tua vita in Lui e con Lui, come creatura risorta.

Tu, sorella mia, che vivi in un casa famiglia e che hai scelto di essere generatrice di creature secondo l’amore, mentre senti che quelle creature ti prendono tutto, ti tolgono tutto, tutto, vivi la duplice realtà della crocifissione e della risurrezione e della gioia. Tu senti che devi morire continuamente a te stessa, ma nel medesimo tempo sei creatura risorta, perché vivi d’amore, di verità, di giustizia, di fraternità, di uguaglianza. Vivi di Dio!

Tu sei eternamente crocifisso, perché per la vocazione particolare che hai, avverti la condivisione di Cristo nel suo essere povero ed ultimo. Vedi e senti che per poter dare la vita nuova che hai dentro di te, vieni crocifisso dalla vita di peccato che è fuori di te, in coloro che tu vuoi veramente portare a Dio.

Tu sei crocifisso e nel medesimo tempo sei risorto. Sì, fratelli miei, andate a fondo nella preghiera. Che cosa vale la vita se non se ne capisce il senso? Come bisognerebbe andare a gridarlo a tutti! Quanti fratelli lottano, lavorano, si impegnano ma non conoscono, non sanno. E la loro vita non è come dovrebbe essere, non perché non vogliono, ma perché non sanno. Che desiderio enorme dovreste avere che, vedendo la vostra vita, a tutti venga comunicato dove sta la salvezza!

La conclusione allora è questa: “Questi è il Figlio mio, l’eletto: ascoltatelo», e l’ascolto non è l’udire. In senso biblico l’ascolto non è altro che il far passare dentro di te l’altro. La misura della nostra vita è Cristo: mentre tu ti metti di fronte a Cristo e lo lasci entrare dentro di te, diventi pienamente te stesso, per cui perdendo la tua vita la ritrovi. E senti che la tua vita esplode in una libertà enorme e in una conformità totale a Cristo.

Concludo con delle piccole esortazioni. Siamo schietti: tu preghi, sì o no? Rispondi! Se tu non preghi non capisci niente e non capisci neanche di non capire. Però parli lo stesso, e molte volte la tua parola diventa soltanto un insieme di ragionamenti umani.

Se non preghi per niente non scoraggiarti: comincerai con una preghiera adatta alla tua persona. Se tu sei marito, hai tua moglie per aiutarti. Nel nucleo, con umiltà chiedilo dicendo: fratelli, io non prego per niente, aiutatemi! E fai l’atto di umiltà. Non difenderti di fronte ad una maschera che nasconde ciò che non c’è. Fatti aiutare. Non stare tranquillo finché non preghi perché, come ho detto all’inizio, Dio non ti indica soltanto la via, ma vuole camminare con te.

Se è da tempo che non preghi, io ti sfido a dire se è vero sì o no! Guardati in profondità e vedi come è cresciuto l’orgoglio, è cresciuta la diffidenza, è cresciuta la boria di te. «Hanno come dio il loro ventre»: inginocchiati! Dio ha voluto che noi ci inginocchiassimo di fronte a Lui, perché in ogni momento subiamo la tentazione di essere dio.

Devi porti il problema serio della preghiera, non puoi passarci sopra dicendo: ho da fare! Queste sono tutte sciocchezze. Cristo era impegnato tutto il giorno al punto, lo ripeto, che non era più padrone di sé, talmente era preso; eppure la sua vita era immersa in Dio. Come devi fare? Scoprilo tu, datti da fare, l’età ce l’hai, la volontà ce l’hai. Ponitelo come problema: devi pregare secondo la misura che è data a te.

Poi, ascolta il Signore, lavora seriamente dentro di te, modificati, cambiati. Che tu possa dire: prima mi muoveva l’orgoglio, adesso non più; prima ero falso, adesso no. Ma si devono vedere questi risultati, si devono vedere, altrimenti è un prendere in giro se stessi, – che è la cosa più brutta – Dio e i fratelli. Si deve vedere il lavoro dentro di noi perché si deve vedere il cambiamento della nostra vita. Forse nessuno vedrà il tuo cambiamento: questo non ha importanza, ma tu devi lavorare dentro di te. Sarà una minima cosa ma qualcosa deve cambiare perché il Signore regni dentro di noi.


Messa Comunitaria Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
Parrocchia La Resurrezione, Rimini – sabato 22 febbraio 1986
Omelia di don Oreste Benzi
Letture II domenica di Quaresima – Anno C
Gen 12,1-4a; Sal 32; 2Tim 1,8b-10; Mt 17,1-9